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Ennio Porrino: Un Sardo a Roma

ENNIO PORRINO : UN SARDO A ROMA

 

Conferenza-Concerto di DANIELA SABATINI

( Roma, Palazzo Unar, Casa delle Regioni, sabato 20 giugno 2015 )

 

Ringrazio il Dott. Antonio Maria Masia, presidente de “Il Gremio – Associazione dei Sardi di Roma” per avermi invitata a tenere questa  conferenza-concerto sul compositore Ennio Porrino, che del Gremio fu co-fondatore nel 1948 insieme a Pasquale Marica facendo inoltre parte dei primi Consigli Direttivi. Da tale invito e dal mio intento di ricercare, scoprire e rivelare, attraverso un’ approfondita ricerca musicologica, aspetti inediti finalizzati a dare un nuovo apporto alla bibliografia musicale,  è nato anche il titolo dal sapore gershwiniano di questo ritratto musicale; titolo da me scelto sia perché perfettamente in linea con la sede di questa conferenza-concerto sia per delineare, anche attraverso mie esecuzioni di composizioni pianistiche e vocali di Porrino e la prima esecuzione mondiale di un mio brano per pianoforte “In s’ ammentu – A la manière de Ennio Porrino” (la prima composizione che sia mai stata scritta “in memoriam” e nel suo stile) un aspetto, a quanto mi risulta, finora non ancora esplorato della vita e dell’ opera del compositore cagliaritano di nascita e romano d’ adozione.                                    Un sardo a Roma appunto, nato egli nel capoluogo della nostra isola e morto nella Capitale, dopo avervi vissuto fin dagli anni giovanili gran parte della sua esistenza. In quello che fu un rapporto di reciproco scambio e contributo, quanto la Sardegna, sua terra madre, deve alla “continentalità” di Porrino ? Quanto Roma, e più in generale la musica italiana, devono alla sua “sardità” ? Si tratta di due aspetti fondamentali e complementari della sua produzione compositiva che si possono sintetizzare essenzialmente nel dato tecnico maturato nei suoi studi musicali romani con cui egli tradusse ispirazioni tematiche originali o tratte dal ricco patrimonio folkloristico dell’ isola natìa.                           E’ Porrino emblematica figura musicale della Sardegna, terra di cui fu appassionato cantore, ponendosi egli sulla scia dei numerosi compositori che nella storia della musica hanno reso omaggio alle loro rispettive patrie attraverso sia la rievocazione di temi folkloristici e la trasfigurazione idealizzata di canti e danze nazionali proprie delle cosiddette “Scuole nazionali” fiorite dall’ Ottocento in tutta Europa, sia con le vere e proprie operazioni di “ricupero musicologico” attuate nel Novecento dagli ungheresi Bartok e Kodaly, dal ceco Janacek e, particolarmente nel suo 3° ed ultimo periodo compositivo, dal polacco Karol Szymanowski autore del balletto “Harnasie” ispirato alla vita dei briganti e dei pastori dei monti Tatra.    Un’ operazione compositivo-musicologica ideologicamente trasversale ed attuata da esponenti musicali dei Cinque Continenti, ma che soprattutto nell’ Italia dell’ epoca, si connotò di acceso regionalismo musicale, con  esiti di italico descrittivismo folklorico spesso oleografico ispirato alle tradizioni musicali, agli usi e costumi, al patrimonio culturale ed artistico delle varie regioni italiane a cui attinse la cosiddetta “generazione dell’ 80” : si pensi agli omaggi all’ Italia di Busoni e Casella, autore quest’ ultimo anche di una “Ninna nanna sarda”, a quanto i veneziani Malipiero e Wolf Ferrari

 

 

attuarono per le commedie del loro concittadino Goldoni, al trittico romano  “Fontane di Roma”, “Pini di Roma”, “Feste romane” del bolognese Respighi. E proprio dal suo maestro Respighi, Porrino fonderà la sua ideologia non soltanto compositiva ed orchestrale, ponendosi non come semplice epigono ma come uno fra gli ultimi rappresentanti di tale concezione di “italianità”, o per meglio dire “regionalità” musicale, in un’ attenzione alle espressioni popolari anche di terre limitrofe alla Sardegna che gli fa armonizzare a Roma il 25 settembre 1934 la ninna nanna corsa “Dormi dormi u miò anghiulellu”. Non quindi come primo vero traduttore musicale del popolo sardo, perché in tal caso egli fu preceduto vari decenni prima della sua nascita da compositori sardi quali Luigi Canepa (musicista patriota di origini genovesi del quale nel 2014 ricorreva il centenario della morte), quali Giuseppe e Luigi Rachel, Lao Silesu, Gavino Gabriel,  l’ etnomusicologo Mario Giulio Fara, e altri. Non come l’ ultimo, poiché la musica sarda contemporanea troverà il suo esponente più alto nel compositore nuorese Franco Oppo, ma come più famoso compositore sardo del Novecento, quale trait d’ union fra antico e nuovo. E la Sardegna dedicherà a Porrino, dopo la sua morte, strade, piazze, scuole, Associazioni culturali, Ensembles, orchestre e bande musicali e soprattutto il Concorso pianistico internazionale a lui intitolato dal 1981 dagli Amici della Musica di  Cagliari.

La sardità musicale di Porrino, nato a Cagliari il 20 gennaio 1910, sardo per parte di madre, affonda le sue radici nella sua infanzia ed è già, seppur soltanto esteriormente,  visibile in una foto che lo ritrae bambino a Thiesi, in provincia di Sassari, nel 1914 in costume sardo così come i genitori Clemente Porrino e Dolores Onnis  e la zia Peppina Onnis. Il ricordo nostalgico della Sardegna, sua terra d’origine che ha lasciato a poco più di un anno di età, rivive in lui sentimentalmente tramite le memorie della madre Dolores Onnis, ed avrà grande influsso sulla sua futura opera compositiva così come le conferenze sul folklore sardo tenute da Gavino Gabriel a cui egli assiste durante i suoi anni giovanili a Pisa ed i lavori dell' etnomusicologo Mario Giulio Fara, come la raccolta dei “Canti di Sardegna” (1923), da cui più volte attinge. Ed è quindi inevitabilmente la Sardegna a costellare il suo catalogo compositivo di lavori ispirati alla sua terra.  E’ la Sardegna con le sue storie di amaro verismo, con le sue feste e le sue sagre, la protagonista dei suoi primi lavori importanti entrambi scritti a Roma : il lamento funebre “Attìttidu” (1928) e la lirica “Traccas” (il titolo è di Porrino e indica i carri cerimoniali trainati da buoi, utilizzati nelle sagre e nelle feste patronali in Sardegna), lirica basata su versi del poeta nuorese Sebastiano Satta  di cui egli ben conosce l’ opera poetica e con cui si afferma nel 1931, appena ventenne e non ancora diplomato, al Concorso nazionale “La Bella Canzone Italiana” indetto dal Giornale della Domenica (supplemento del Giornale d’ Italia)  che vince a pari merito con la “Canzone a stornello” del compositore cagliaritano Luigi Rachel.    Nel 1933 egli scrive quella che diventerà la sua composizione più nota e più eseguita in Italia ed all’ estero :  il poema sinfonico “Sardegna, che fin dalla sua prima esecuzione avrà ampia risonanza al punto da venire inserita nei programmi del Festival Internazionale di Amburgo del 1935 in rappresentanza della musica italiana.

 

 

 

Nel 1937 ritorna dopo molti anni a Cagliari  in occasione del III Congresso dell’S.N.F.M. e la vita popolare della Sardegna, ora nell’ imponente e lunghissima processione in onore del Santo Patrono di Cagliari, ora in un disperato canto d’amore della Gallura, ora  nella violenta ossessività ritmica della danza di un paese del nuorese, gli detterà i soggetti per le “Tre Canzoni Italiane” (1939) un trittico di tre brevi brani corali a 6 voci miste, rispettivamente  “Canzone religiosa – la Processione di Sant’Efisio”, “Canzone          d’ amore - Disispirata di Aggius” in cui vi è l’ inserimento di un tenore solista, e la “Canzone a ballo - Danza di Desulo” quest’ ultimo brano utilizzato anche per molti anni quale sigla del vecchio “Gazzettino della Sardegna”.

Ma è soprattutto nel 1949 in un suo viaggio più approfondito in quella che il sommo poeta Dante Alighieri definì l’ “isola de’ Sardi”, viaggio quale “recherche” alla scoperta delle sue radici, che egli verrà più direttamente a contatto diretto con la ricca tradizione musicale e culturale della sua madre terra, rivelantesi in tutta la sua drammatica bellezza quale nuova fonte di ispirazioni. Di quello stesso anno è la colonna sonora per il film drammatico del regista sardo Mario Sequi “Altura (Rocce insanguinate)” ambientato in Gallura, del 1950 sono i due mottetti sardi " In su monte Limbara - Sul monte Limbara" e            " Tres' arrosas de oru - Tre rose d'oro" , del 1952 le musiche per lo spettacolo teatrale o più esattamente mistero drammatico in versi “Efisio D’ Elia” di Marcello Serra (che verrà rappresentato all’ Anfiteatro romano di Nora),  del 1952-57 la suite musicale “Nuraghi”, un altro trittico musicale dedicato questa volta a tre danze primitive sarde : “Danza della Terra”, visione di un paesaggio notturno, “Danza dell’Acqua” , ispirato ancora ad una “madre dolorosa”  e Danza del Fuoco” traduzione dell’ arcaico misticismo dei pascoli della Sardegna. E ancora il poderoso “Preludio” per organo scritto nel 1955 per l’ inaugurazione del monumentale organo Mascioni della Cattedrale di Cagliari, e le musiche per i vari documentari del regista sardo Fiorenzo Serra (fra cui “Realtà del costume”, “Sagra in Sardegna”, “Sardegna nuova”, “San Costantino”, “Il giorno della mattanza”, “Artigiani della Creta”, “Desulo : un documentario”), per “L’acqua dei poeti” (1956) di Gian Paolo Callegari, oltre che per lo sceneggiato televisivo di Mario Landi “Canne al vento” (1958) tratto dall’omonimo romanzo di Grazia Deledda.

Il ritorno di Porrino a Cagliari nel novembre 1956 come Direttore del Conservatorio “Giovanni Pierluigi da Palestrina”, quel Conservatorio che sorge oggi nella piazza a lui dedicata, amplia i suoi interessi sulla Sardegna al di là del puro dato compositivo e lo vede impegnato fino alla sua morte, nel 1959, in progetti sia didattici legati all’ etnofonia sarda, con l’ istituzione di un corso affidato a Gavino Gabriel e di un Centro di studi e di raccolta del materiale, sia artistici come la creazione di una sezione locale dell’ Agimus e, quale Direttore Artistico dell’Ente Lirico e dell’Istituzione dei Concerti, di un’orchestra stabile e di una nuova sede per il Conservatorio di Musica con annesso Auditorium.

In quegli anni che vedono Porrino appagato oltre che per le sue cariche istituzionali anche per la sua vita privata con il felice matrimonio nel 1956 con la parente Màlgari Onnis, scenografa e costumista, e la nascita l’ anno seguente della figlia Stefania Bèrbera, egli compone ciò che è culmine cronologico ed artistico della sua attività compositiva : il dramma musicale in 3 atti “I Shardana (Gli uomini dei nuraghi)”, una storia

 

leggendaria degli antichi popoli del mare dalle forti tinte di amore e morte, di guerra e passione, fiero inno di indipendenza ed affermazione dell’ identità isolana ambientato nel periodo nuragico.               Su libretto dello stesso Porrino, l’ opera, frutto di una lunga gestazione risalente agli anni ’40 e  più volte elaborata dal 1956-59 fino alla definitiva stesura, fu trasmessa dalla Radio Italiana nel 1958 in un adattamento radiofonico con il titolo “Hutalabì” il grido di guerra del protagonista Gonnario e dei cavalieri degli antichi popoli sardi;  titolo modificato in quello attuale soltanto pochi mesi prima dell’ esecuzione in forma scenica avvenuta al Teatro San Carlo di Napoli il 21 marzo 1959, sotto la direzione dello stesso autore e con la scenografia ed i costumi della moglie Màlgari.

Ed è significativo notare il forte legame e l’ assoluta identicità fra una delle ultime pagine scritte da Porrino, la nenia funebre di Nibatta dal 3° atto dell’ opera, espressione di un dolore cosmico, alla sua prima composizione più nota : “Attìtidu” Lamento funebre  per Soprano e Pianoforte dai "Dieci canti in stile sardo" (1928) ispirato alla statua ”La madre dell’ ucciso” opera dello scultore nuorese Francesco Ciusa la cui versione in bronzo del 1907 è  attualmente esposta alla Galleria d’Arte moderna di Roma.

Statua ben nota a Porrino, che fra l’ altro conobbe anche personalmente l’ autore dell’ opera scultorea, ed a sua volta ispirata ad un fatto di cronaca nera avvenuto in provincia di Nuoro negli ultimi anni dell’ Ottocento  : un giovane ucciso per vendetta, sua madre che urla straziata di dolore per poi serrarsi in un doloroso assente silenzio da  “Mater dolorosa”, come nel 2° movimento del suo lavoro sinfonico “Nuraghi”.

E’ un lamento funebre, chiaramente derivante dalla vocalità respighiana, che reca sotto il testo originale in lingua sarda, anche la relativa traduzione :

Ogni dura pietra si commuova

E si vesta il mondo di tristezza

E le campagne si spoglino di gioia

Lasci ogni pianta la sua fronda

Ed il lamento venga ad ascoltare

Che fa questa mamma triste e desolata

Che piange l’ amato figlio suo

Morto per un caso disastroso.

 

 

 

Contemporaneamente ad “Attittìdu” , Porrino compose a Roma nel 1928 vari lavori giovanili inediti : la  “Suite in stile antico” e “Preludio e moresca” entrambi per violino e pianoforte, il “Tormento a vespero” per quartetto d’archi, e i due brani descrittivi “Incendio nella foresta” per pianoforte e “La beffa del campanaro” per pianoforte a 4 mani. Al 1929 risalgono vari lavori inediti come la lirica per canto e pianoforte su suo testo poetico “Quando impazza il vento” datata  6 maggio ed i due brani pianistici

 

 

 

“Meriggio estivo” e “Canto pastorale” , mentre del 1930 sono “Ave maris Stella” per coro a 4 voci e organo, “Sanctus” per coro e organo, “Lauda” per voce solista e organo, il “Preludio” in fa magg. per organo e la lirica per canto e pianoforte “La sorgente d’ amore” che reca la dedica “Ai carissimi cugini Rita e Giuseppe Ciardi nel giorno delle loro nozze 3 marzo 1930”.

Roma è ormai diventata la sua città di adozione e d’ altronde l’ aspetto “romano”, o se si vuole “laziale”, nell’ esistenza e nell’ opera di Porrino non è certo marginale. Il Conservatorio di S. Cecilia, dove studiò sotto la guida del viterbese Cesare Dobici (definito “il migliore didatta di tutta Italia”) e di Giuseppe Mulè, diplomandosi nel 1932, lo vide per ben due volte docente, prima della cattedra di armonia, contrappunto e fuga e, nel 1951  di composizione, e fornirà tema per i suoi primi saggi di critico musicale e musicologo basati su tre brevi resoconti concertistici, a cui seguirà la pubblicazione di un suo scritto più ampio sul canto popolare.

E Roma, con i suoi teatri, vide anche prime esecuzioni dei lavori di Porrino, fin dalle sue prime affermazioni compositive ; all’ Augusteo, glorioso e storico Teatro dall’ acustica meravigliosa sciaguratamente demolito, vennero eseguite in prima assoluta rispettivamente il 30 aprile 1933 e nel gennaio 1934 l’ouverture “Tartarin de Tarascon”, vincitrice del  concorso dell’Accademia di Santa Cecilia  per il XXV anniversario dei concerti dell’Augusteo,  ed il poema sinfonico “Sardegna”.

Al Teatro Argentina venne rappresentato nel 1952 il suo Oratorio per soli, coro, organo e orchestra               “Il processo di Cristo” scritto fra il 1948 ed il 1949 su testo della “Vita di Gesù Cristo” dell’ Abate romano Giuseppe Ricciotti, e, sempre all’ Argentina, si tenne nel 1954 la prima esecuzione del “Concerto dell’ Argentarola” per chitarra e orchestra commissionatogli dall’ Accademia di S. Cecilia.

E ancora, il Teatro dell’ Opera ed il Teatro Valle per le rappresentazioni, rispettivamente nel 1956 e nel 1958,  del suo dramma in un atto “L’ organo di bambù”. Vanno inoltre citate le varie esecuzioni romane al Teatro dell’ Opera ed alle Terme di Caracalla (1949) del divertimento coreografico su suo soggetto “Mondo tondo”, in particolare, quella postuma del  1960 sulla terrazza del Pincio alla chiusura solenne dei Giochi Olimpici.

A Roma, città che intitolerà a Porrino una via, egli si perfezionò compositivamente al Corso triennale di composizione tenuto da Ottorino Respighi del quale completò, insieme alla vedova del compositore la cantante Elsa Olivieri Sangiacomo, e basandosi sugli appunti dello stesso Respighi, l’ opera “Lucrezia” ispirata a quel filone di opere ispirate all’ antica Roma che, dal “Nerone” di Boito, trovarono grande fortuna nei primi decenni del Novecento, e particolarmente di moda negli anni ’30, come attestano il “Nerone” di Mascagni, il “Giulio Cesare” e “Antonio e Cleopatra” di Malipiero.

Lo stesso Porrino diede il suo contributo a tale genere storico-musicale con la cantata mitologica Proserpina” (1937) per voce recitante, coro femminile e piccola orchestra e soprattutto con “Gli Orazi” su libretto di Claudio Guastalla, lo stesso librettista della “Lucrezia” respighiana. Opera di accesa “romanità” che negli intenti del suo autore voleva costituire una forma moderna a metà tra l'oratorio profano e lo spettacolo sportivo, “Gli Orazi” verrà rappresentata anche al Teatro Giardino di Cagliari nel settembre 1951, due anni prima della realizzazione da parte di Porrino della colonna sonora del film

 

 

"Nerone e Messalina" del 1953.

Ma il legame compositivo di Porrino con la Capitale coinvolge non solo l’ antica Roma, ma anche una più diretta tradizione regionale, come attestano due composizioni per canto e pianoforte (“Il fabbro di Betlemme” del  23 aprile 1930 e la "Canzone romanesca" del giugno 1933) scritte su testo dell’ antiquario e poeta romanesco Augusto Jandolo appartenente, con Trilussa, Cesare Pascarella, Ettore Petrolini, Ceccarius  ed altri al cosiddetto "Gruppo dei Romanisti",  promotore di un'associazione in favore del teatro romanesco e redattore della “Strenna dei Romanisti”.

E se un omaggio alla terra laziale di cui Porrino è figlio adottivo è la lirica "Monte Circeo" per canto e pianoforte scritta a Sezze Romano nel 1940 su testo dello stesso compositore, va sottolineata la profonda “sardità” del suo “Preludio in modo religioso” per pianoforte, scritto a Roma  il 1 novembre 1942.     Precedente di pochi giorni la prima esecuzione della lirica per canto e pianoforte ”Il canto della mamma” avvenuta a Roma il 10 novembre dello stesso anno, tale ieratico Preludio risonante di solenne misticismo è profondamente simile all’ “Attìttidu” per la sua atmosfera di arcaica ineluttabile drammaticità che verrà esaltata anche dalla sua successiva variegata orchestrazione “à la maniere de Respighi” effettuata dallo stesso Porrino.

Al di là del tema di questa conferenza-concerto incentrata sulla presenza e sull’influsso stilistico della Sardegna e di Roma nella vita di Ennio Porrino, un ritratto musicale completo del compositore impone comunque alcuni, seppur essenziali, cenni biografici sulla sua presenza, fin dai suoi primi anni di vita,  in varie altre città e località italiane. Sfogliando la sua vita come un album fotografico, lo vediamo nelle foto della sua infanzia a Caserta nel luglio 1912 e nel settembre 1913; ancora, con i genitori a Viareggio nel 1918,  con la madre a Pisa nel giugno 1920,  e sempre a Pisa fanciullo e adolescente nel 1920 e nel 1924 con il suo violino, strumento da lui studiato privatamente. E lo ritroviamo nel maggio 1925 con i genitori e gli zii Giuseppina Onnis e Lorenzo Porrino ad Arienzo, paese allora in provincia di Napoli e attualmente in quella di Caserta di cui è originaria la famiglia paterna. E proprio al 1925 risalgono le sue prime composizioni: due brani per canto e pianoforte di cui scrive anche il testo composti a Fiumetto, località della Versilia presso Marina di Pietrasanta dove trascorse lunghi periodi della sua infanzia e adolescenza:  “Tango alpino” del novembre 1925 (che reca la dedica Ai miei genitori questo primo lavoro”) ed il fox-trot “Bacio di maschera”. E ancora “Sera festiva” per canto, violino e pianoforte su versi di Giovanni Pascoli  (datata La Spezia, 15 ottobre 1925 e dedicata Alla famiglia Rosoni che con affettuoso interessamento ha cooperato per il raggiungimento del mio più grande ideale”).  , Sempre a La Spezia, egli compone l’ inedita Sonata per violino (1926) e i due brani inediti per canto e pianoforte, entrambi del 1927, “Canto novo” su versi di D’ Annunzio  e “Ninna nanna delle fate” su testo suo e di Vittorio Malpassuti. Preceduti da un suo precoce interesse verso la poesia che lo vide dall’ età di 9 anni scrivere un quaderno di suoi pensieri e poesie da lui stesso intitolato “Bozzetti”,  tali suoi primi cimenti compositivi scorrono parallelamente ai suoi studi classici; studi che prosegue fino a 17 anni, per dedicarsi quindi  esclusivamente alla composizione.

 

 

 

Sempre a Fiumetto egli compone l’ inedita lirica per canto e pianoforte “Ciò che non fu” datata 15 settembre 1929 e le sue prime composizioni per orchestra : “Tartarin de Tarascon” (estate 1932), il poema sinfonico Sardegna (inverno 1932-33),. “La visione d’Ezechiele - Preludio adagio e corale” per grande orchestra scritta a Fiumetto e a Roma nell’inverno 1934-35. Nella località versiliana, Porrino traccia nella sera del 4 settembre 1935, insieme ad una visione generale sulla sua concezione dell’arte, un “Piano di lavoro” con i suoi lavori già realizzati ed i suoi più immediati progetti compositivi; poche settimane dopo, il 31 ottobre, egli termina di comporre l’ ouverture per grande orchestra “Sinfonia per una fiaba”.    Sono quelli gli anni, dal 1932 al 1936 in cui egli  compone anche “I tre tambur”, i “Canti della schiavitù” per trio d’ archi (comprendenti “Il Bastimento negriero” impressione per violino e pianoforte, “Il sogno dello schiavo” per violoncello e pianoforte “Indios-danza” per violino, violoncello e pianoforte) i “Canti di stagione”, 4 liriche per soprano o tenore e piccola orchestra (“Notte d’ inverno”, “Mattino d’ aprile nel bosco”, “Afa”, “Autunnale-Ditirambo”), il  “Concertino” per tromba in Si bem. e pianoforte, e “Notturno e  danza” per piccola orchestra.

Del 1938 è l’ Oratorio radiofonico “E un uomo vinse lo spazio”, commissionato dall'EIAR a Ettore Giannini in memoria di Guglielmo Marconi, mentre del 1939 sono l’ azione coreografica “Altair” e la colonna sonora del film “Equatore” di Gino Valori da cui è tratto il  “Valzer di Frida” per canto e pianoforte.  Quegli anni “del grande consenso” sono anche gli anni della crescente e definitiva affermazione istituzionale di Porrino che, diventato titolare della cattedra di composizione al Conservatorio di Roma, è nominato membro effettivo dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma e dell’Accademia Luigi Cherubini di Firenze.   Sono gli anni della prima scaligera nel febbraio 1941 del suo primo lavoro operistico, “Gli Orazi”, mentre al 1942 risale “Ostinato” per pianoforte scritto dall’ 11 al 16 luglio a Marina di Pietrasanta.

Trasferitosi al nord nel 1943 quale docente di composizione del Conservatorio di Venezia, è inoltre attivo come compositore sia di colonne sonore di film girati a Cinevillaggio quali “Un fatto di cronaca”, “Senza famiglia” e “La vita semplice” (questi ultimi due completati nel 1946) sia del divertimento coreografico “Mondo tondo” che avrebbe dovuto essere rappresentato nel 1945.  Nel 1944 scrive inoltre il testo e la musica della “Marcia del Volontario” che, su proposta dal ministro Francesco Maria Barracu, divenne l’ Inno della Repubblica sociale Italiana. Quegli anni di volontario esilio ispirarono la nostalgica raccolta di quindici liriche intitolata “Canti dell’ esilio” per soprano o tenore e orchestra comprendente, oltre a tre liriche greche e liriche italiane su testi di poeti italiani dal Medioevo al Settecento e dello stesso Porrino, tre liriche trobadoriche fra cui  “Du bist min” datata “Venezia, 12 maggio 1945”. Lirica che si basa sul testo di un Minnelied, un canto d’amore medievale tedesco, conservato in un codice latino del sec. XII del Monastero di Tegernsee. Così recita la traduzione in italiano dall’ antica lingua germanica del testo di questo canto d’ amore di autore anonimo, che prefigura ben 8 secoli prima i famosi lucchetti dello scrittore Federico Moccia :

 

 

 

Tu sei mia, io sono tuo,

sii certa, è vero.

Tu sei rinchiusa nel mio cuore

La sua serratura è bloccata,

la sua chiave è persa.

Così che non potrai mai uscirne.

Forse ?

Io ti amo, tu mi ami,

quindi blocchiamo le nostre serrature,

gettiamo le chiavi,

Così ci apparteniamo l’ un l’ altra per l’ eternità.

 

Il dopoguerra vide Porrino dal 1946 al 1949 a Napoli dapprima bibliotecario supplente e Direttore della Biblioteca Musicale del Conservatorio S. Pietro a Majella con l’ incarico di risistemare l’ immenso patrimonio librario di tale Conservatorio; incarico che lo impegnò fino al 1947, quando fu nominato docente di composizione nello stesso Conservatorio. In quegli stessi anni napoletani egli fu critico musicale del “Corriere di Napoli”, pubblicando numerose recensioni ed articoli. In tal senso va sottolineata l’ imponente produzione letteraria di Porrino quale autore di libretti per suoi lavori, pubblicista, musicologo e poeta. Produzione che scorre .parallelamente ad un catalogo compositivo eterogeneo in cui figurano opere, pantomime, composizioni sinfoniche e cameristiche per piccolo ensemble e per grande orchestra, musica vocale con accompagnamento di pianoforte o di orchestra, musica pianistica e corale, esteso dal genere formale della sonata e del concerto al balletto (anche di ispirazione etnica come come “Il ladro di diamanti” di ambientazione sud-africana scritto su incarico della danzatrice Katherine Dunham) a musiche per testi radiofonici e sceneggiati televisivi, colonne sonore di films e documentari ; fra questi “Cotone”, risalente al 1947, lo stesso anno in cui compone a Napoli la “Sinfonietta dei fanciulli” e la “Sonata drammatica” op. 35, una composizione ciclica per voce recitante e pianoforte originariamente scritta per l’ omonimo atto unico dell’ attrice e parapsicologa Nella Bonora della quale aveva musicato nel 1946 “Palude” e “Un mot” raccolti sotto il titolo di “Due fogli d’album” per canto e pianoforte. Va inoltre sottolineata la parallela attività di Porrino quale direttore d’ orchestra con varie compagini sinfoniche quali l’ Orchestra del Teatro Nuovo di Milano (con cui realizza la Sinfonia dall’ opera “Betly – La capanna svizzera” di Gaetano Donizetti immortalata anche discograficamente), l’ Orchestra della Rai “Alessandro Scarlatti” e del Teatro “San Carlo” di Napoli, l’ Orchestra e Coro del Teatro “La Fenice” di Venezia.

 

 

E ancora, dopo il suo rientro a Roma, le colonne sonore per i films “Trieste mia!” (1951), “Nei regni del mare” (“Dans les royaumes de la mer”) presentato al Festival di Cannes nel 1952, “Nerone e Messalina” del 1953, anno a cui risale anche il “Concerto dell’ Argentarola” per chitarra e orchestra scritto dal 15 agosto al 25 settembre per il chitarrista Mario Gangi; concerto ispirato all’ aspra bellezza di un isolotto roccioso dell’ Argentario; comprensorio dove Porrino, come è evidenziato anche da una foto del 1958 che lo ritrae al pianoforte nella sua casa di Porto Santo. Stefano, amava trascorrere le vacanze. Del 1955 è il dramma in un atto “L’ organo di bambù” e composizioni corali quali “Per il Natale” per coro ad una voce e pianoforte scritto su invito della Radio italiana e “Notte di Natale e Campane di Pasqua”.        Con il suo rientro a Cagliari nel 1956 ed i prestigiosi incarichi legati a tale ritorno, l’ attività compositiva di Porrino sembra sdoppiarsi : da un lato l’ impegno per la composizione de “I Shardana”, dall’ altro creazioni compositive apparentemente più leggere ma in realtà emblematici esempi dell’ inizio di un nuovo percorso creativo denso di vari influssi innovativi, in cui un ferreo integralismo ideologico, compositivo e didattico sembra finalmente infrangersi  verso  un’apertura ad altri linguaggi musicali che colorano il suo stile (ispirazioni alla musica jazz e a stilemi gershwiniani prefigurati in “Dancing” del 1958, suo ultimo lavoro pianistico e brano di rara esecuzione ed ascolto, inserimenti di serie dodecafoniche, sperimentazioni strumentali, ecc.). Ne costituiscono significativi esempi il vocalizzo “Sàmisen” per soprano o tenore (1957), il Concerto per archi e clavicembalo “Sonar per Musici” (1958), scritto per il prestigioso ensemble “I Musici” ed i suoi ultimi lavori (entrambi su libretto di Luciano Folgore):  la grottesca  opera in un atto “Esculapio al neon” (1958) e la pantomima “La bambola malata”, che verrà inserita nello spettacolo “Giochi e favole per bambini” ideato da Mario Labroca per il XXII Festival Internazionale di Musica contemporanea di Venezia ed eseguita per la prima volta 15 settembre del 1959.    Sarà questo anche  l’ ultimo lavoro di Porrino: 10 giorni dopo, il 25 settembre, a seguito di un’ improvvisa e fulminante malattia, egli muore a Roma non riuscendo a realizzare il suo progetto di musicare quattro poesie, fra cui il celebre “Lamento per Ignacio”, del grande poeta Federico Garcia Lorca, martire della guerra civile spagnola.      La nave della sua vita si arresta proprio quando, dopo onde sofferte, un’ ondata serena di forza e luce sembrava orientarla verso nuovi luminosi lidi di pacificata libertà.

DANIELA SABATINI