Il Gremio dei Sardi
Lettera alla Regione
Alla Regione Autonoma Sardegna,
in particolare all’attenzione del Presidente della Giunta, On.le Francesco Pigliaru e dell’Assessore Virginia Mura
Che fine faranno i contributi a favore dei Circoli Sardi?
Gentile Presidente Pigliaru,
L’Associazione dei Sardi in Roma “Il Gremio” che vanta ben 66 primavere (con questo nome ha ri-cominicato ad operare sin dal 1948, ad opera di un gruppo di personaggi sardi di elevato spessore professionale e culturale, capitanati dal sanlurese Avv. Pasquale Marica, giornalista e scrittore, che ha donato alla Biblioteca del Consiglio Regionale, nel 1962, la sua preziosa emeroteca sarda), ma che si onora di essere erede diretto dell’Associazione che nel maggio del 1914 organizzò e coordinò a Roma, in Castel Sant’Angelo, il 1° Congresso Regionale Sardo sui gravissimi temi socio economici che allora (ma, in parte, anche ora) opprimevano la nostra Isola, suggerendo proposte e soluzioni, si rivolge ora alla Sua gentile attenzione e riflessione.
Le sembra logico e coerente che La Regione riduca drasticamente la cifra annuale dei contributi che la Legge Regionale 91, tuttora vigente, prevede a sostegno della preziosa attività dei Circoli? Decisamente preziosa per la cultura e per l’economia della nostra Isola!
Le pare adeguato e corrispettivo chiedere e scrivere, come fa la Regione che “Il mondo dell’emigrazione deve costituire un’opportunità, e i Circoli devono diventare delle vere e proprie basi operative che – sfruttando il grande privilegio della conoscenza di realtà territoriali diverse – da un lato mettano al servizio dei Sardi l’esperienza del territorio e del tessuto sociale in cui operano e dall’altro promuovano la peculiarità del territorio d’origine. In un tale scenario è intendimento dell’Amministrazione regionale potenziare l’attività dei Circoli… e poi arrivare a metà ottobre dell’anno in corso e non aver ancora provveduto all’erogazione del saldo, concordato, sul contributo relativo all’anno 2013? E ancora, come pensare che i Circoli possano sopravvivere se ad oggi non si conosce l’entità del contributo 2014, e peggio non se ne eroga ancora l’acconto? Nel mentre tantissimi Circoli hanno già praticamente concluso i programmi dell’anno 2014 impegnando il fido bancario e/o risorse personali dei dirigenti.
La preghiamo di soffermare la sua attenzione sul fatto, veramente esiziale per i Circoli, che tale blocco o incertezza interviene in concreto su spese già effettuate per il funzionamento e l’attività 2013, e sulle spese per attività e funzionamento del 2014, sin qui già effettuate, come da programmi preventivati all’inizio dell’anno.
Questo fatto ci mette letteralmente in ginocchio, e senza preavviso.
Questo non va bene! Se Lei pensa che la Regione non debba più sostenere l’attività dei Circoli, perché non se ne ravvisa più l’utilità e la filosofia, è leale comunicare un tale nuovo atteggiamento con effetto a partire dall’anno che deve ancora iniziare, e non già da quello concluso (2013) e da quello che sta per chiudersi (2014).
Molti Circoli, a questo punto, sono già esposti direttamente o attraverso i loro responsabili, che, confidando sulla abituale cadenza contributiva della Regione, peraltro già troppo disallineata rispetto alle esigenze operative, hanno dato corso ai programmi.
La contraddizione è evidente fra quanto si chiede ai Circoli e che, in maniera, mi creda, veramente impegnativa e sofferta, i Circoli fanno, con amore per la Sardegna, la sua cultura, le sue tradizioni e la sua economia e quanto poi i Circoli hanno di ritorno, a risarcimento, di una parte degli oneri sostenuti. Dobbiamo fare gli ambasciatori, le vetrine, le basi operative per la diffusione della cultura e delle eccellenze della nostra Terra nelle comunità che ci ospitano. E…ci viene a mancare il sostegno della nostra Regione?
Ci rendiamo conto che la nostra richiesta si inserisce in un contesto ampiamente difficile e degradato, sappiamo bene cosa si sta verificando nell’Isola, ove abbiamo parenti e amici in sofferenza che condividiamo, ma siamo consapevoli della preziosità e importanza del nostro servizio e perciò La preghiamo di valutare il problema e di trovare la giusta soluzione.
Rimaniamo in attesa di una Sua cortese risposta e Le inviamo il nostro cordiale saluto, rinnovandoLe stima e fiducia.
Antonio Maria Masia
Presidente Associazione dei Sardi di Roma “Il Gremio”
Via Aldrovandi 16 00197 Roma
Roma 14-10-2014
L'Isola che c'è 2014in collaborazione con GIA COMUNICAZIONE di Giorgio Ariu, il Gremio organizza
(la grande rassegna della cultura e delle eccellenze artigianali, enogastronomiche della Sardegna)
Al Mercatino di Conca D’Oro - Via Conca D’oro 145 (angolo Viale delle Valli) Roma
Piero MarrasLa “lezione musicale” di Piero Marras sotto le stelle nella reggia nuragica di Santu Antine di Antonio Maria Masia
La musica del grande artista preceduta dalla proiezione di un documentario sulla straordinaria civiltà dei Nuraghi Una notte magica! Note precedute dalla proiezione di un interessante e, mi confermano avvincente, documentario sulla complessa e straordinaria civiltà nuragica, partendo da una visita “virtuale” alla reggia. Di tali prologhi ho avuto modo di seguirne tanti e così in futuro, spero. Sempre istruttivi e utili. Ma questa prima parte non rientrava nella mia partecipazione all’evento in questione. La mia concentrazione e emozione erano incentrate sulla musica e sulle canzoni di questo cantautore sardo che definire grande testimone della nostra cultura e della nostra identità non è nè esagerato né retorico ed è anzi poca cosa. Personalmente lo accumuno in questa sua “missione antropologica” all’indimenticabile Maria Carta.
E per comunicarci questi valori e questi “ammonimenti” ecco cantate e a volte sobriamente commentate le sue più belle canzoni, quelle d’amore dolcissime, quelle sociali dure ed implacabili contro ruberie, traffici e disagi, quelle ambientali e di tradizioni così suggestive e a volte talmente malinconiche da alimentare una sorta di “mal di Sardegna” per chi ne vive fuori. Canzoni attraverso le quali, e ci tiene a sottolinearlo, ci ricorda invitandoci a “coltivarli” alcuni nostri grandi, non sempre giustamente e unanimemente conosciuti e ri-conosciti, poeti sardi (anche quando hanno scritto in italiano) come Cicitu Masala, Antoninu Mura Ena, Peppinu Mereu, Pedru Mura e Paolo Pillonca. Interessante la sottolineatura di Piero riguardo alla maggiore naturalezza, nonostante le difficoltà e complessità del caso, a tradurre in musica e canzoni le poesia sarde rispetto alle poesie in italiano, come a voler dire che tra la poesia in limba e la musica che la diffonde e la rende pubblica c’è sempre corresponsione e contiguità. E di questo concetto ci offre una splendida e avvincente dimostrazione con l’esecuzione, per la prima in Sardegna in pubblico, (come presidente dell’Associazione dei Sardi di Roma Il Gremio, rivendico però la primazia dell’esecuzione nel 2009 al Teatro Euclide, in occasione de Sa Die de Sa Sardigna) la fantasiosa e bellissima, poesia “Jeo no ‘ippo torero” (io non ero un torero) di Antoninu Mura Ena: originale l’incontro e confronto, nel delirio della morte, fra un giovane vaccaro di Lula Juanne ‘Arina incornato da una vacca nel cortile della sua casa e il grande toreador di Siviglia, Jgnazio Sanchez Mejias, incornato da un toro nell’arena alle cinque della sera, e immortalato da Federico Garcia Lorca. Ed ancora con i versi struggenti e liricamente stupendi della poesia “Amore” di Peppino Mereu, lo sfortunato grandissimo poeta di Tonara, molto conosciuto per “Nanneddu meu”, ecco una ulteriore dimostrazione della capacità di Piero a leggere nel profondo il significato e il messaggio della poesia sarda. Tres de Papassinu in CampidogliuTres de Papassinu* in Campidogliudi Emilio Daga
Grande partecipazione di pubblico il 13 giugno a Roma, per la presentazione dell’opera Letteratura e civiltà della Sardegna di Francesco Casula. Presenti tanti ollolaesi, sardi, romani e tutti i Casula di Roma, ad accoglierci nelle sala della Protomoteca, la più prestigiosa per cerimonie pubbliche del Campidoglio, c’erano “tres de papassinu". Francesco Casula, Tonino Bussu e Maddalena Frau. Francesco, dopo un attimo di vera commozione all’esordio del discorso, con pacatezza e vigore, ha illustrato la sua interessante opera. Tonino, da oratore, degno di altri grandi che l’hanno preceduto in quella sala, ha fatto una bellissima presentazione, arricchendo di aneddoti alcuni passi. La poetessa Maddalena, ha letto con garbo e passione due sue poesie presenti nell’opera: "Umbras Ismentigadas" e il divertente e umoristico "S'Aipoddu". Applauditissima anche la consigliera comunale di Roma Gemma Azuni di Olzai, che ha presieduto l’iniziativa ( nella parte finale dovutasi allontanare per impegni istituzionali e sostituita dal presidente del Gremio dei Sardi di Roma Antonio Maria Masia), e Giancarla Carboni che ha letto alcune poesie. Brillanti e intensi gli interventi dell'onorevole Mauro Pili e del giornalista e scrittore Pino Aprile. Un’opera senz’altro importante, studio certosino su tanti grandi letterati sardi, “…qualcuno potrebbe obiettare, che essa, rispetto ad altre lingue romanze, ha prodotto pochi frutti: può darsi, ma – dato e non concesso – si poteva pensare che un cavallo per troppo tempo tenuto a freno, legato imbrigliato e impastoiato potesse correre? “, non un operazione nostalgica, ma approfondimento e recupero di ciò che è stato cultura. Conoscere la nostra storia sarda e la civiltà, non è un lusso, è necessità. Complimenti al professore Francesco Casula. A menzus viere in sa Capitale (de Barbagia o in “ Caput Mundi”), pho osas de bonu, un salude e allegria.
*Papassinu è un rione di Ollolai in cui sono nati Francesco Casula, Tonino Bussu e Maddalena Frau.
Presentati a Roma i volumi dedicati alla letteratura sarda Francesco Casula ollolaese di nascita, ma storico e letterato per l'intera Sardegna, venerdì scorso è volato a Roma per presentare, nella sala protomoteca del Campidoglio, la sua ultima opera "Letteratura e civiltà della Sardegna". Si tratta di due volumi che propongono un itinerario storico-letterario che parte dalla nascita della lingua sarda e dai primi documenti in volgare sardo e arriva fino ai nostri giorni. L'opera è stata presentata da Tonino Bussu, di Ollolai, studioso di lingua, letteratura e storia sarda. Dopo di lui sono intervenuti il sottosegretario Francesca Barracciu, il giornalista Pino Aprile, la scrittrice di Ollolai Maddalena Frau e Giancarlo Carboni, che hanno letto poesie e passi tratti dall'opera. Ecco le scelte fatte nei due volumi: il primo è dedicato agli autori più importanti della letteratura sarda: da Antonio Cano ad Antonio Gramsci ed Emilio Lussu fino a Grazia Deledda, Salvatore Satta e Giuseppe Dessì. Il secondo volume inizia con gli scrittori bilingui fra i quali Benvenuto Lobina e Francesco Masala per proseguire con gli scrittori in lingua italiana da Antonio Puddu, Michele Columbu, Nereide Rudas, Eliseo Spiga, Giulio Angioni, Bachisio Bandinu, Salvatore Niffoi, Sergio Atzeni, Michela Murgia, Flavio Soriga per finire con quelli in lingua sarda Aquilino Cannas, Franco Carlini, Gianfranco Pintore e le poetesse Maddalena Frau, Paola Alcioni e Anna Cristina Serra. (g.m.s.)
Maria Carta
Il canto di Maria Carta, Grande Madre della Sardegna di Patrizia Boi
Che ogni fiore continui a sbocciare Anche dopo di me ». Queste poche righe, tratte dall’ultima poesia che Maria scrisse prima di morire, ritraggono il carattere della donna e artista sarda di cui parleremo oggi. Si tratta della cantante Maria Carta, una donna intensa, consapevole dei suoi limiti e umile nella sua grandezza. Amava immensamente la sua terra, la gente sarda, le tradizioni popolari e si dedicava alla ricerca delle sue radici con passione e fierezza. Le sue doti vocali le hanno consentito di far conoscere al mondo intero i canti tradizionali sardi portando oltreoceano un’immagine di donna così poeticamente dipinta dalle parole di Giuseppe Dessì: « Il suo bel viso, la fierezza e insieme la grazia del suo portamento, più che un simbolo, sono una personificazione di quella Sardegna intangibile e indomita che ho sempre amato. Quando la sua voce calda e potente si alza e riempie lo spazio, si aprono infiniti orizzonti che scendono nella storia. Dopo aver conosciuto Maria Carta, ancora una volta affermo che i soli grandi uomini della Sardegna sono state donne ». Tutto questo è emerso e anche molto di più nella straordinaria serata “Omaggio a Maria Carta a 80 anni dalla sua nascita” organizzata dal Gremio dei Sardi di Roma in collaborazione con la Fondazione Maria Carta e l’Associazione Culturale Salpare di Alghero. Nella suggestiva terrazza dove il Gremio ha sede, allestita appositamente per l’incontro, oltre 200 persone hanno assistito con partecipazione alla rappresentazione dove, grazie alla creatività del Presidente del Gremio Antonio Maria Masia che ha dato vita ad una sorta di canovaccio teatrale, si sono alternati al microfono alcuni amici di Maria o estimatori, poeti, artisti , scrittori, che con intensità e passione hanno raccontato la loro versione di Maria. Antonio Maria, ha iniziato “il teatro sotto le stelle” declamando questi suoi pochi ma intensi versi in sardo, esemplificativi della vita artistica e delle motivazioni psicologiche e sociali della “sua” Maria Carta, così come lui stesso l’aveva conosciuta, (commovente la sua lettera “ti posso stringere la mano” ) e ri-conosciuta come madre sarda di figli che si tengono per mano: “Sa vida, sa vida mia:/ sonos, cantos, poesia/ e a Marta e Teresa custa cara. / Fizos a manu tenta: su dilliriu, s’imprenta/ ch’in coro meu tenia e in lara./ Pro te Amada Terra/ in paghe, chena gherra Pro ch’esseras, Sardigna, perla rara / in d’unu mundu ‘onu,/ne dolu, ne affannu, ne padronu “(1). Masia ha fatto così da filo conduttore degli altri interpreti del reading. Ed ecco puntuali e di qualità gli interventi di Neria De Giovanni (scrittrice, Presidente dell’associazione Internazionale dei Critici Letterari) che si è fatta portavoce della poesia di Maria Carta leggendo in modo appassionato e coinvolgente i versi carichi di pathos tratti dal libro “Canto Rituale”: Uno spaccato della Sardegna di un tempo senza tempo che Maria aveva vissuto nell’infanzia e che era rimasta intatta nel suo cuore. Maria era un essere capace di leggere il mistero, di sentire tra lo stormire delle foglie la presenza di Ombre, di guardare con gli occhi dell’anima tutto quel mondo di spiriti estinti ma presenti in Sardegna, tra i tronchi dei boschi, nel calore dei selciati ardenti della controra dove camminava minacciosa Sa Mama e su Sole, nell’acqua delle fonti dove le donne si recavano per lavare i loro panni. Maria si faceva portavoce del pianto dei bambini morti, di tutta quella moltitudine di esseri che la seguivano per farle vivere la magia dei loro sospiri. Maria accarezzava la pietra calda e si lasciava trasmettere l’incanto della saggezza racchiusa negli spazi vuoti carichi di energie, pensava alle donne e agli uomini pietrificati dalla potenza di un dio, si caricava del dolore e della paura di quelle anime assorbendo tutti i loro respiri che poi la sua voce avrebbe rivelato in un canto sublime. Maria Carta era nata a Siligo da una famiglia umile, aveva perso il padre già a otto anni e aveva quindi affrontato le fatiche di quella condizione difficile, eppure la sua fantasia ardeva e lei sapeva guardare il mondo immaginandosi altre realtà, sapeva sentire le voci degli antenati, riprodurne i suoni, usare il suo canto come uno strumento musicale. Fin da piccola, ovunque, faceva vibrare le corde della sua voce calda, un poco strana per una bimba, una voce che prometteva di passare oltre i venti contrari. Maria era in grado di guardare quello che non c’era con il potere poi di far materializzare le figure che sonnecchiavano nella sua mente: «Da Bambina/ M'alzavo prima dell'alba./ Sentivo qualcuno presso il camino/ Che moveva la cenere,/ Ma non c'era nessuno... ». Neria ce l’ha fatta vivere attraverso quei versi che raccontano tutta la Sardegna, che narrano di un passato che Maria si portava dietro in ogni istante della sua vita, anche quand’era lontana e distante dalla sua Terra, ma sempre ad essa vicina col cuore… Maria iniziò a cantare nelle piazze con i cantadores, veri pilastri del canto sardo, ma quel mondo tanto amato le stava comunque stretto. Dalle finestre della sua casa Maria si affacciava e cercava di guardare lontano, fissava intensamente il suo sguardo sull’orizzonte immaginando il suo futuro oltre quella linea che congiungeva la terra con il cielo. L’immaginazione, come recita Il Sogno di Strinberg, «fila e tesse nuovi disegni», il brillio dello sguardo apre a nuove scoperte, al viaggio verso altri luoghi, che siano essi fisici o solo paesaggi dell’anima. Maria sogna un mondo dove potersi riscattare dalla condizione che lei e tutte le donne sarde vivono. Siamo negli anni sessanta in un ambiente circoscritto e immerso nella sua condizione di immanenza e non è così facile andarsene, ma Maria scopre una strada da percorrere, forse una strada che non le appartiene totalmente, ma che rappresenta una via di fuga utile per passare oltre il suo destino. Nel 1957, a soli 23 anni, è eletta Miss Sardegna e questo le spalanca le porte della capitale, infatti, un anno dopo parte alla volta della città Eterna. Del suo amore per l’Antropologia racconta Pierfranco Bruni (Scrittore, Presidente Comitato Nazionale Minoranze Etnico – Linguistiche) ponendo l’accento sul suo carattere lunare che emerge dai canti e dalle sue poesie, quasi che fosse una Regina dell’Oltretomba che s’immerge senza esserne risucchiata, una Penelope che ricuce i fili del destino e della memoria dando voce al piccolo popolo dei sardi, a tutta la loro immensa fatica, al loro eterno dolore. Masia declamando “canto la memoria di tutti i sardi” da il via alla eccellente recita di Ilaria Onorato. L’attrice sarda, su un suo testo, riesce in una interpretazione talmente coinvolgente che pare che Maria stessa sia scesa da una stella per renderla così vera. Ilaria entra così intensamente nel dolore interiore di Maria che l’emozione la scuote fino alle lacrime. Ilaria si fa Maria e ne narra ogni vicissitudine, ci fa intendere come nella sua esistenza abbia vissuto la gioia e il dolore affidandosi alla grande anima della terra che le ribolle dentro come un vulcano. Maria, infatti, si abbandona all’amore con intensità e fermezza, pagando ogni palpito del suo cuore con il dolore e la malattia. Niente però la può fermare, nemmeno la certezza dell’abbandono, la vita per Maria non ha mezze misure, la palude lei l’attraversa tutta senza preoccuparsi delle ombre nere che la trascinano verso il fondo oscuro. Conosce la gioia della maternità, lei dea madre assoluta, solo quando si lascia andare senza limiti all’amore. Sembra di vederla con quel suo abito lungo bianco come quando canta con voce inimitabile e unica quella bellissima canzone d’amore che fa tremare i polsi nelle vene. “No Potho reposare”, forse vorrebbe dedicarla al suo uomo, al padre di suo figlio David, quello che dopo poco l’abbandona. Maria non è più giovane, la voce le si strozza in gola e arriva prorompente la malattia. A quel punto forse Maria si accorge di non aver pensato a se stessa, a quella bambina fantasiosa che aveva bisogno di volare, di viaggiare e di vedere la luce delle stelle. E negli ultimi istanti della sua vita ripensa a quella bellissima frase finale di un famoso film: «Qualunque errore commetterai in questa vita, lo ripeterai nel tuo prossimo passaggio. Ogni errore che commetterai sopravviverà ancora e ancora, per sempre. Quindi il consiglio che ti do è di fare le scelte giuste questa volta, perché questa volta è tutto ciò che hai». Se lei non avesse creduto in questo consiglio, forse oggi non avremmo il dono della sua voce, le magiche parole delle sue poesie, lo sguardo fiammeggiante dei suoi occhi e il carattere forte di ogni sua generosa scelta. Ma Maria non era solo questo, lei era anche passione politica. Spesso le donne e gli uomini non riescono a lasciare traccia del loro passaggio in nessun campo, Maria, invece, riesce ad essere grande in tutto quello che fa. In questo la rappresenta Gemma Azuni (Consigliera al comune di Roma) leggendo un suo stesso brano (tratto da Maria Carta a Roma – Nemapress ed.2006) dove attraverso il racconto della Maria Donna e Cantante ne rammenta con viva emozione i trascorsi politici come “Messaggera Sarda in Campidoglio” accanto al grande Enrico Berlinguer. Gemma non riesce quasi a leggere l’ultima parola per la commozione, che di nuovo Antonio Maria Masia stordisce il pubblico mettendo l’accento su questo aspetto non irrilevante della vita e della personalità di Maria Carta: «Eo so istada comunista…Le mie origini, il mio modo di vivere, il mondo sofferto dei miei canti sardi portano infatti ad un'unica possibile identità. E chi mi conosce anche soltanto attraverso l'attività artistica, non ha mai avuto bisogno di chiedermi quale fosse il mio orientamento politico». A questo punto Masia chiama in scena l’attore Luca Martella (approfittando del fatto che il Gremio aveva realizzato il 29 maggio al Teatro Italia, per sollecitare donazioni a favore delle popolazioni sarde colpite dal cataclisma del novembre 2013, con grande successo, insieme ad altre associazioni e con il Patrocinio del comune di Roma e la presenza della stessa Gemma Azuni come delegata del Sindaco, lo Spettacolo dello stesso Martella “Storie del Signor G… 10 anni dopo. E pensare che c’era il pensiero”) invitandolo a porgere al pubblico incuriosito quel monologo del Teatro-Canzone di Gaber-Luporini diventato da un lato l’emblema della stima di cui godeva e gode il nostro Enrico Berlinguer, dall’altro del “fallimento” del Comunismo. Il pubblico appare prima stupito, anche perché Martella interpreta “Qualcuno era Comunista” nella versione originale che sarebbe tanto piaciuta a Maria, con una padronanza della scena che suscita via via curiosità, poi ilarità, quindi gli applausi convinti della platea. Alle parole “ Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona” la gente si accalora e dagli occhi della Azuni emerge come una gemma un brillio di ammirazione per quella classe politica che lei avrebbe voluto affiancare come Maria, ma che oggi appare, per dirla con Gaber-Luporini, del tutto “In via di estinzione”. Proprio nella parte finale del monologo cresce l’attenzione del pubblico quando Martella diventa serio interpretando il senso di fallimento di quelli che come Maria avevano intensamente investito in quel Sogno: « Qualcuno era comunista perché sognava una libertà diversa da quella americana… Ci pare di vederla, Maria, con lo sguardo rivolto a quel “gabbiano ipotetico” che, proprio come le successe in amore, la deluse. Improvvisamente lei comprende che “aveva aperto le ali senza essere capace di volare…” e acquisisce la consapevolezza che quel gabbiano non ha neanche più “l'intenzione del volo perché ormai il sogno si è rattrappito”. Eppure il Sogno di Maria non si estingue con la veglia, se fallisce l’amore, l’ideologia politica, seppur l’abbandona la salute colpendola proprio con una malattia che mina le corde del suo migliore strumento, Maria si lascia andare alla forza di se stessa e resiste al dolore, alle prove della vita, innalzando al mondo il suo canto del cigno. Dopo il periodo politico che si conclude con l’ovazione del pubblico, ecco l’intervento di Leonardo Marras (Presidente della Fondazione Maria Carta). Anche lui racconta l’emozione di quando conobbe Maria e la elesse a madre della grande manifestazione canora estiva Ichnos e di quando si esibirono nello stesso palco Maria e Andrea Parodi con i Tazenda, altra voce importante del panorama sardo. Legge i suoi versi intensi d’amore il poeta ciociaro Rodolfo Coccia che uniscono in un solo abbraccio Maria e Andrea, in un matrimonio canoro tra i più sensazionali. Toccante è poi la lettura da parte di Leonardo Marras di una lettera del fratello di Maria, Gigi, ove l’infanzia di entrambi viene rivissuta nella difficoltà di un padre mancato troppo presto. E continuano gli intervalli di Neria con alcune fra le più belle e significative poesie del poema di Maria, in particolare ha veramente commosso la storia tragica e dolorosa dell’amore fra Fidela Stocchino e Costasciu Saiu. Verso la fine, spente le luci del giorno per fare posto alle stelle porta il suo contributo Giacomo Serreli (giornalista, Presidente del Comitato scientifico della Fondazione Maria Carta), che con queste parole introduce il suo video: “Per te volevo un ritratto per immagini che fosse lo specchio fedele della tua vita, dei tuoi valori, del tuo incredibile amore per la tua Isola e la tua gente. Un ritratto di nome Maria.” Dal video emerge tutta la personalità di Maria, la sua immensa presenza scenica, le sue intense interpretazioni de sos cantos, sos attittidos, del Deus Ti Salvet Maria. Tanto le interpretazioni di Maria sono emblema della terra di Sardegna, dell’intensità dei suoi dolori forti che la fanno assomigliare a una Dea greca, tanto Maria, nonostante i segni della malattia presenti nell’ancora bel viso, sorride facendo brillare i suoi occhi quando risponde all’intervista di Maurizio Costanzo con la fermezza del suo carattere, con l’umiltà della sua grandezza e con la nostalgia per la sua terra. Ricorda la figura di Maria Callas, la sua enormità, il fiammeggiare del suo sguardo, la sua integrità morale. Antonio Maria Masia per finire riporta il tutto al filo iniziale della poesia con la recita da parte di Neria dell’ultima straordinaria poesia di Maria, non presente in Canto Rituale, il suo testamento poetico che si conclude con questi bellissimi versi: Ora lo sgomento della notte si trascina insieme alla mia pena e nella mia stanza entra lentamente la strana tristezza del tempo. Una magica serata di solstizio, dove l’equilibrio tra il giorno e la notte ha fatto emergere con completezza ogni sfaccettatura di questa straordinaria artista che ha reso famoso nel mondo il canto di una minoranza che poteva restare senza voce. Maria, come una Madonna Madre di tutti i Sardi, ha prestato la sua voce perché il vento portasse lontano la memoria di una terra intera e noi tutti la ringraziamo per aver condotto con tanta dignità e bellezza il nostro piccolo testimone alla storia.
(1) Maria fra l’altro ha interpretato: Marta nel film “Gesù” di Zeffirelli e Santa Teresa D’Avila nello spettacolo teatrale “A piedi nudi verso Dio” (2) La vita, la mia vita:/suoni, canti, poesia/ e a Marta e Teresa questo volto. */ Figli che si tengono per mano:/il delirio, l’impronta/che nel mio cuore tenevo e nelle labbra./ Per te Amata Terra/in pace, senza guerra./ per essere, o Sardegna, perla rara/in un mondo buono:/né dolore, né affanno, né padrone.
A Roma il ricordo di Maria Carta nel segno della sua poesia di Giacomo Serreli C’è un percorso artistico tra i meno conosciuti e indagati di Maria Carta il cui nome è più facilmente associabile oltre che alla musica, al cinema e al teatro. E’ quello della poesia. Doumentato da “Canto rituale”, un volume pubblicato nel 1975 (qualche anno fa ristampato da La Nuova Sardegna): un sorta di “Spoon River” silighese, come è stato definito, perchè costruito sulla descrizione che Maria Carta fa di diversi personaggi della sua comunità. Partendo proprio da questa esperienza l’Associazione del Gremio dei Sardi di Roma ha voluto ricordare Maria Carta con una serata in coincidenza di quello che sarebbe stato l’ottantesimo compleanno dell’artista, che era nata il 24 giugno del 1934. Ospitato nella terrazza del palazzo Unar, sede delle diverse associazioni regionali presenti nella capitale e che si affaccia sui giardini di villa Borghese, l’evento si è articolato in un reading poetico artistico , con incursioni nel teatro e arricchito dalla proiezione di un video. A curare la regia e la conduzione Antonio Maria Masia, il presidente del Gremio che lo ha introdotto coi versi di una sua composizione: “sa vida, sa vida mia/sonos, cantos,poesia”. Lo scrittore e presidente del Comitato Nazionale Minoranze Linguistiche, Pierfranco Bruno, ha quindi letto un breve saggio critico sulla raccolta di poesie “Canto rituale” definita come “un viaggio”. Da quel volume Neria de Giovanni, presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari, ha letto diverse poesie a partire da “Ombre” e “Tonina Carta”. L’attrice Ilaria Onorato ha poi impersonato la stessa Maria Carta in un intenso monologo in cui l’artista rifletteva sulla sua vita, l’arrivo a Roma, il suo percorso artistico, il matrimonio con Salvatore Laurani e poi la nascita del figlio David. Poi altre testimonianze. Quella di Antonio Maria Masia sul suo primo incontro con Maria dopo un concerto quattro anni prima della sua scomparsa. Di Gemma Azuni, consigliera del comune di Roma, sulla sua scoperta di Maria Carta a Nora. Di Leonardo Marras, presidente della Fondazione Maria Carta, sui primi contatti con l’artista quando vene chiamata a esibirsi nel 1993 nella prima edizione di Ichnos a Sedilo. Del fratello Gigi Carta (letta da Leonardo Marras); ancora di Neria de Giovanni su un incontro fortuito avuto con Maria Carta in aereo da Roma a Alghero. La serata ha offerto anche un bel parallelo tra Maria Carta e Andrea Parodi, affidato a Rodolfo Coccia; un altro bellissimo monologo dell’attore Luca Martella che ha proposto “Qualcuno era comunista” di Giorgio Gaber, nel ricordo dell’esperienza politica di Maria Carta al comune di Roma. Chi scrive ha introdotto un videodocumentario che attraverso materiali d’archivio di “Videolina” ha ripercorso il profilo artistico e umano di Maria Carta, il suo rapporto con la Sardegna e la cultura, l’attualità nel segno del museo a Siligo e del premio a lei dedicati. In chiusura Neria de Giovanni ha recitato, ancora con grande intensità e partecipazione, una composizione inedita di Maria Carta, una poesia scritta poco tempo prima della sua scomparsa. “Che ogni fiore continui a sbocciare anche dopo di me”, recita uno dei versi, Un suggello ideale a un evento pienamente riuscito e apprezzata dal folto pubblico, costituito non solo da sardi emigrati, che lo ha seguito.
Maria Carta, una Voce, una Terra nel Mondo di Rodolfo Coccia Io penso che in tanti ancora la ricordano, Maria Carta, la voce che si fa melodia, sussurro e urla di una terra amata, bella e incontaminata. Questa volta è toccato all’Associazione Il Gremio dei Sardi, a Roma, l’onore e il piacere di ricordare una grande artista ( in occasione degli ottanta anni dalla sua nascita, Siligo 24 giugno 1934-Roma 22 settembre 1994), vanto di una terra bellissima, che mantiene ancora intatta una propria antica cultura millenaria.
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